Don Carlo Tarantini

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P R E S E N T A Z I O N E di: Mons. Alberto Carrara

LIBRI E CATALOGHI


In continua ricerca…
parole e immagini intorno alla Parola

Presentazioni di: Tiziano Belotti - Mons. Maurizio Gervasoni - Mons. Alberto Carrara


Un “manuale”
Il primo aspetto che si nota nel prendere in mano il libro di Carlo Tarantini e la prima idea che viene in mente è che si tratta di un “manuale”. Quando si definisce “manuale” un libro, avviene talvolta che l’autore reagisca male, come se quel termine fosse un soprannome improprio. Ma, ovviamente, si tratta di sapere per che cosa è stato scritto il libro e che cosa significa “manuale”. “Manuale” rimanda a una mano che afferra, che usa uno strumento, che lo manovra. “Manuale” rimanda dunque a qualche cosa di utile, a “un semplice strumento”, “un sussidio”, come l’Autore stesso definisce il suo libro nella sua introduzione. Il significato del termine appare, a questo punto, strettamente collegato con lo scopo del libro. Il libro nasce, infatti, dall’esperienza della lectio e vi riconduce coloro che la vivono, in una specie di provvidenziale circolo virtuoso: dalla lectio al libro, dal libro alla lectio. In un certo senso, un libro così non può che essere un “manuale”: nato dalle mani, dall’esperienza di chi legge la bibbia e scritto per favorire di nuovo quell’esperienza.
Appena lo si apre, subito balzano agli occhi – è proprio il caso di dirlo – le splendide immagini del pittore-annunciatore-della-Parola. È l’altro aspetto, fondamentale, del libro. Mondo liminare, quello dell’immagine, mondo-cerniera in cui la Parola incomincia, in qualche modo, a prendere carne. Il manuale appare così subito come un libro da usarsi al servizio di una Parola che si deve vedere.

“Vedere la Parola”
Carlo Tarantini tiene, da parecchi anni ormai, numerose lectio in diverse comunità cristiane (della diocesi di Bergamo) e la sua figura si collega soprattutto con la specifica attività dell’annuncio della Parola. D’altra parte, però, Tarantini è pittore e, anche come pittore, si è ritagliato uno spazio significativo tra molti estimatori nell’ambiente artistico (bergamasco). Ognuno intuisce che le due attività hanno profonde sintonie. L’esperienza singolare di Carlo Tarantini è che le due attività avvengono nello spazio umano della stessa persona. Da osservare però che, quando Carlo Tarantini commenta la bibbia, non sempre usa i suoi quadri. D’altra parte, i suoi quadri non si limitano a essere la traduzione pittorica di questo o quest’altro brano biblico. La Parola e l’immagine, anche nell’esperienza di Carlo Tarantini, non si sovrappongono mai. La Parola parla di un mistero che è indicibile e la pittura allude a un al di là di sé che non è mai perfettamente definibile. Due attività diversamente allusive si incontrano, dunque, non per limitarsi, ma, al contrario, per rilanciare indefinitamente le proprie diverse possibilità: la Parola ha bisogno dell’immagine e l’immagine ha bisogno della Parola.
In questo modo, il libro potrebbe essere considerato come una singolare realizzazione di ciò che Ignazio di Loyola raccomandava nei suoi
Esercizi: “vedere la Parola”. In effetti, la Parola che il frequentatore di una lectio è chiamato a vedere è la Parola che si è fatta carne, e, dunque, una parola che chiede di essere “vista e toccata”:
Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1 gv 1, 1-3).
La Parola “vista e toccata” diventa poi Parola vissuta, condivisa, storia che dà senso a tutte le nostre storie umane. “Vedere la Parola” è tornare al cuore dell’esperienza cristiana per riprenderla, instancabilmente, da capo.

Una Parola irraggiante
La lectio di Carlo Tarantini è una specie di mondo saturo di Parola. Entrare in una lettura della Parola significa entrare nella Parola. La Parola di Dio è davvero un tutt’uno. Se questo lo dicono gli studiosi e lo spiegano a modo loro, con strumenti adeguati ai loro scopi (si pensi, a questo proposito, a un Autore di straordinaria importanza come Paul Beauchamp), lo dice, a modo suo, Carlo Tarantini, offrendo ai suoi frequentatori questa specie di spontanea esuberanza della Parola. Ogni brano viene affrontato con il “contesto” in cui si colloca, ma dal brano fiorisce una lunga, spesso lunghissima, citazione a catena di altri brani biblici. La stessa “oratio” non è altro che una nuova, diversa, efflorescenza della Parola.
Alla esattezza critica della citazione dotta, si sostuisce qui la consonanza “saporosa” del ricordo e del rimando. I due “punti di vista”, come noto, non si identificano, tutti e due possono soffrire di estremi negativi (la secchezza scientifica, da una parte; l’approssimazione interpretativa dall’altra). Ma la lettura della bibbia nella Chiesa non può rinunciare a nessuno dei due. Anzi, tanto più i due diversi modi di vedere la bibbia giocano fra di loro tanto più essi giovano a tutti.

Lo splendore della misericordia
Il libro si apre con una serie di testi del vangelo di Luca, esclusivi del terzo vangelo che, a modo loro, sembrano offrire oltre alla Parola, anche un modo concreto per affrontarla.
È necessaria, anzitutto, una “presa di distanza” per entrare nel grande tempio della Parola. Maria diventa la pedagoga di Marta (prima lectio, Lc 10, 38-42). La conversione al Signore comporta il superamento di una congenita cecità, quella di Zaccheo (seconda lectio, Lc 19, 1-10) e il mistero di Dio è la rivelazione di una forma inattesa, straordinaria di paternità: parabola del Padre misericordioso (Lc 15, 11-32).
Si tratta, nelle prime tre lectio, di una specie di cammino lucano verso una possibile assimilazione dell’annuncio gioioso della misericordia di Dio. È interessante che, sia per Zaccheo, che per il figliol prodigo, l’incontro dell’uomo convertito avviene in casa: la casa del Padre nella parabola del capitolo 15, la casa stessa di Zaccheo per il capo dei pubblicani. Bisogna tornare da profonde lontananze per approdare alla casa dell’incontro. La lectio, dunque, si propone anzitutto come una forma di conversione, di cambio del cuore. È talmente evidente che la Parola deve portare a colui che ci parla che la terza lectio, quella sulla parabola del Padre misericordioso, è composta da una serie di preghiere. La riflessione sulla Parola è già preghiera: meditatio e oratio si confondono. E su quella parabola, la più alta e la più grandiosa di tutti i vangeli, si condensano anche le più numerose riflessioni di Tarantini. È come il perno attorno al quale tutte le altre lectio ruotano. Quella lectio ci propone un prolungamento letterario dell’immagine evangelica che è molto suggestivo. Lo voglio citare come una delle chiavi di lettura più caratteristiche di tutto il libro:
«Padre, dopo 2000 anni, sei ancora lì, fuori casa, in trepidante attesa che noi, tuoi figli maggiori, ci decidiamo ad entrare a far festa con te e l’altro tuo figlio, nostro fratello. Sembra assurdo, ma sei sempre tu a pregare noi di far festa. Così, Padre - sino alla fine dei tempi - la tua paziente missione e fiduciosa fatica è cercar di rendere i nostri cuori - ciechi per l’invidia e resi duri dal pregiudizio – docili alla riconciliazione ed esultanti nella comunione. Solo quando il tempo avrà fine entrerai, definitivamente, nella tua casa e, solo allora, seduto a mensa con quei tuoi figli vestiti dell’abito nuziale - quella misericordia che hanno saputo da te accogliere e donare ai fratelli - l’uscio si chiuderà. Fuori non resterà nessuno? Oppure qualcuno di noi - senza abito nuziale e con la lampada spenta, perché priva dell’olio del perdono - busserà alla tua porta gridando: “Signore, Signore, aprici!”?».
A riprova del carattere centrale della lectio sulla parabola del Padre misericordioso, sta il fatto che in essa si concentrano anche gli estremi: l’estremo “oggettivo” del sacramento, con un’introduzione alla penitenza, da una parte, e l’estremo “soggettivo”, una lunghissima e stimolante serie di brevi riflessioni personali dell’Autore, dall’altra.
La grande conversione del cuore approda al racconto della morte di Gesù (Lc 23, 32-49) e poi ai brani giovannei del cieco nato (gv 9, 1-41), della risurrezione di Lazzaro (gv 11, 1-54). Quest’ultima, tra le altre cose, con la sua complessità, permette all’Autore di elaborare una modalità più articolata di affrontare il testo. Fino ad arrivare a quella specie di lectio delle lectio che è l’ultima, quella che precede la via crucis. In questa ultima lectio i testi si rincorrono l’un l’altro fino a comporre una eccezionale sinfonia. Il libro si conclude con la via crucis, appunto, che è un ulteriore laboratorio, se così si può dire, dell’incontro fra la Parola e l’immagine, dove l’immagine e la Parola si stimolano a vicenda nel narrare, a conclusione di tutto, l’inenarrabile amore di Dio che si manifesta nella morte del Figlio.
La funzione “paterna” del “manuale”
In effetti in tutto il prezioso “manuale” non si fa altro che andare e venire continuamente dalla Parole alle immagini, dalle icone che portano alla Icona per eccellenza, il Figlio che ci annuncia e ci dona la misericordia del Padre che è nei cieli.
Lo sforzo di ogni strumento, anche di questo prezioso manuale, è – se così si può dire – una funzione paterna: godere la gioia di dare la vita e sparire contenti di averla donata.


Mons. Alberto Carrara...


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