Don Carlo Tarantini

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Opere Pittoriche - P R E S E N T A Z I O N E

OPERE PITTORICHE

Il maestro Longaretti gliel’aveva detto non più tardi dello scorso anno quando vide gli ultimi lavori: «Don Carlo, tu sei un acquerellista di razza». E Tarantini, dopo aver veleggiato sul mare dei molteplici stilemi artistici – dalla pittura ad olio a quella materica, fino all’esperimento della vetrata – è approdato alle sue origini di pittore: l’acquerello. Non è un passo indietro o la rinuncia a imboccare nuove vie espressive: è l’esito di una ricerca. Tarantini possiede mestiere e tecnica, passa dal figurativo all’astratto con assoluta padronanza dei generi letterari, ma in trent’anni di attività – silenziosa e molto lontana dal marketing dell’arte – non si è adagiato nella reiterazione del già-fatto-già-visto, non si è impantofolito nei risultati ottenuti in precedenza. È «In continua ricerca» come recita la prossima mostra che apre alla biblioteca di Gorle, dal 13 dicembre al 6 gennaio, nella quale espone circa duecento acquerelli: un lavoro di quattro anni. La decennale ricerca del prete-pittore bergamasco adesso si è concretata nel nutrito catalogo che porta lo stesso titolo della personale (edizioni Velar, pp. 206; presentazione di monsignor Maurizio Gervasoni) e che unisce arte e pensiero: una miscela perfetta per raccontare – scrive Tarantini – «il suo vissuto, sempre […] rivisitato attraverso la passione per la Parola di Dio e la predilezione per l’immagine pittorica».

Osiamo sbilanciarci: le riflessioni che accompagnano gli acquerelli del catalogo – quasi una teologia aforistica – forse sono più importanti delle immagini. In don Carlo, il legame tra pittura e parola è indissolubile perché lui è un pittore che sa dipingere con le parole, un prete che parla con segni e colori. La sua arte trae ispirazione dalla ormai quindicinale frequentazione con le Scritture sacre, grazie al sapiente metodo monastico della lectio divina che Tarantini propone in moltissime comunità della Chiesa di Bergamo.

Il pittore-prete confessa che il suo lavoro è «un semplice strumento per condividere il mistero che siamo nella fiduciosa speranza di incontrare quel Mistero che cerchiamo». Non dipinge soltanto per diletto, non è un esteta compiaciuto che cura il bello per il bello, non è interessato all’arte per l’arte. La pittura è un dono e dunque un servizio, luogo dove i pensieri si esprimono con robuste pennellate e colori taglienti. Il bello è qualità che prima di tutto appartiene alla Parola. L’arte serve a svelare (velando) l’esistenza dell’artista sempre a confronto con una presenza
altra – Dio, il fratello, il mondo – che preme e non molla la presa e a velare (rivelando) l’anima dell’uomo inquieto, in bilico sul mistero e in attesa di abbraccio. L’interesse di Tarantini è attirato dal rapporto mai definitivamente risolto dell’uomo con Dio. Non è un caso che anche in mostra uno degli acquerelli più drammaticamente eloquenti – Gli corse incontro – sia la rilettura della lotta di Giacobbe con l’angelo-Dio, paradigma bonhofferiano del rapporto resistenza e resa. Lottare e abbracciare sono verbi dell’unico paradigma umano-cristiano (magari senza trattino). Tarantini inoltre insiste molto sui temi della paternità-maternità, altra cifra semantica per dire la parabola esistenzial-religiosa, fra grazia e perdono, legge e misericordia, insita al dialogo Dio-uomo.

Il rapporto con il mistero è continuamente scavato e indagato grazie alla frequentazione del testo biblico che Tarantini traduce in quadri. Gli acquerelli potrebbero essere perfino preghiere. Icone del mistero. Come nell’arte ortodossa, dove il pittore è innanzitutto «teologo», uomo rivolto a Dio che «parla di Dio». A suo modo, don Carlo è un «mistico» del colore. Non è un pittore religioso soltanto perché fa quadri di contenuto esplicitamente biblico-religioso. Andate a vedere le sue nature morte, i paesaggi veneziani, il mare ligure, gli alberi (della vita): sprigionano la stessa attenzione all’umano e al divino di cui i testi biblici sono memoria. Sono religiosi semplicemente perché parlano dell’essenza dell’essere, stanno sulla realtà.

Tarantini, infine, ha un’intuizione precisa di arte. Un’idea non accademica, lontana dalle definizioni scolastiche. Afferma che «l’arte pittorica – per la povertà del segno che convive con la ricchezza del messaggio – può essere considerata come una sorta di “Pasqua dell’immagine…” un vero e proprio passaggio – sofferto e gioioso, continuo e mai concluso – dal relativo all’assoluto, dal particolare all’universale, dal visibile all’invisibile, dal contingente all’eterno».

Don Carlo ha già promesso che il prossimo lavoro sarà dedicato all’autunno. Si definisce «autunnale» e, guardando fin d’ora i suoi «alberi della vita», i «giardini di Mariangela», le «nature morte», c’è da crederci. Ci diamo appuntamento in settembre, quando i rossi, i verdi e i gialli assomiglieranno ad angeli testimoni di quella bellezza umano-divina che sorge generosa dalla natura e dalla realtà pulsante.


Massimo Maffioletti
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